I NATIVI DIGITALI:
Come insegnare ai bambini di oggi a sfruttare la fotografia per imparare a vivere “slow”
I bambini di oggi sono nativi digitali.
Imparano precocemente ad usare tablet e telefonino, ad usare la tecnologia per comunicare e scrivere, per intessere relazioni e anche per fotografare.
Non conoscono la bellezza dell’attesa: non hanno più bisogno di attendere che il rullino venga portato in negozio per essere stampato, non hanno più bisogno di attendere una lettera scritta a mano e spedire una cartolina con un francobollo.
Possono raggiungere il mondo con un click.
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E se da una parte questo è stato un miglioramento evidente della qualità della loro vita, in termini di possibilità di scelte e possibilità di imparare al di fuori dei soliti schemi, dall’altra parte ha eliminato dalla vita dei bambini il senso della lentezza.
Ecco perché la fotografia stampata non morirà mai: perché rappresenta quella ‘lentezza’ che è la base e il deposito della formazione dei veri ricordi. Perché non è un hard disk che possiamo smarrire in un ristorante, perdendo la memoria delle nostre relazioni.
Possiamo insegnare ai bambini a sfruttare la fotografia digitale per imparare a vivere slow. Dovremmo insegnargli a:
- pensare allo scatto fotografico invece che fotografare a raffica: scegliere l’inquadratura, valutare le luci, concentrarsi su un particolare;
- imparare a visionare le proprie foto per scegliere gli scatti migliori;
- stampare le fotografie, collezionarle sugli album per rivederle;
- cogliere i propri progressi e miglioramenti nella storia delle fotografie stampate

Un tempo, scattare e stampare fotografie costava molto: chi ha vissuto nella generazione dei rullini e delle polaroid non avrebbe mai sprecato una fotografia per immortalare la sua cena, né per un selfie con la bocca alla Zoolander.
La fotografia era preziosa: si doveva centellinare, selezionare, stampare e riporre con cura.
I rullini venivano portati al negozio di fotografia uno alla volta, per diluire un po’ la spesa.
E le fotografie amatoriali erano spesso sfocate, scure, non allineate.
Ma avevano un pregio: erano reali. Rappresentavano la realtà di quel momento: la foto del primo compleanno con i piatti sulla tavola e le bottiglie davanti, la foto sul balcone con la ringhiera scrostata, la foto del panorama delle vacanze con le persone piccole piccole sullo sfondo (quel puntino sono io!)
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Adesso abbiamo la fortuna che la fotografia digitale ha reso tutto più semplice, più bello e meno costoso. Le macchine fotografiche compatte hanno prezzi ragionevoli, gli smartphone sono in grado di fare belle fotografie (quando si ha l’occhio e la tecnica necessaria).
Ma spesso immortaliamo la vita per i social, e non per documentare i nostri momenti felici: preferiamo un selfie a una foto di gruppo, la foto del piatto che abbiamo ordinato invece che la tavola apparecchiata per la famiglia.
A volte le fotografie moderne rappresentano ‘la vita Pinterest’, invece della vita reale.
Una vita bianca e luminosa, in una casa ordinata alla perfezione (con una strategica angolazione anti-disordine), davanti a grandi ciotole di avocado e frullati di spirulina. E va bene, perché nessuno può stabilire cosa è giusto o sbagliato.
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Ma la fotografia ha ancora bisogno di nutrirsi di relazioni.
Se vogliamo che una fotografia, tra vent’anni, rappresenti per noi un ricordo significativo, dobbiamo tornare a riappropiarci del coinvolgimento emotivo che sta alla base della formazione dei nostri ricordi.
Noi infatti ricordiamo ciò che ci ha emozionati, spaventati, resi felici: ricordiamo gli eventi quando sono associati alle emozioni vissute.
Le fotografie attivano una relazione non solo tra passato e futuro, ma anche tra chi fotografa e chi viene fotografato.
Quanto sono importanti le nostre relazioni, i nostri ricordi?
Siamo pronti a perdere le nostre fotografie salvate sugli hard disk o su un telefonino che si rompe?
